TURATE , 5 APRILE 2002
IL
CENTRO DI ASCOLTO
UN MODO DI ESSERE CARITAS SUL TERRITORIO
Le
motivazioni per operare in un centro di ascolto.
Questo è
il tema generale che sviluppiamo secondo la linea seguente: "l'ascolto come
momento dell'ospitalità nella comunità cristiana". Diciamo, infatti, che
non si tratta di un ascolto fatto in privato da un qualsiasi
centro; parliamo, invece, dell'ascolto fatto da un centro che è espressione
della comunità cristiana. Consideriamo, infine,
che attraverso questo servizio si edifica la stessa comunità cristiana,
la quale risulta quindi:
• il
punto di partenza che fa nascere l'iniziativa dell'ascolto
• una risorsa
su cui contare nell'ascolto e nell'accoglienza
• il
punto di arrivo dell'ascolto accogliente; sia nel senso che chi è accolto
diventa di casa nella comunità cristiana, sia perché la comunità si
costituisce e si arricchisce accogliendo.
L'ASCOLTO
COME MOMENTO DELL'OSPITALITÀ NELLA COMUNITÀ CRISTIANA
Abramo è
stato chiamato dal Signore e inviato in una nuova terra. Dopo varie vicende,
Abramo si trova ora a Mamre. Ha già sperimentato
le fatiche della lotta col suolo della terra (c. 12: una carestia), la divisione
con quelli di casa (c. 13: la separazione dal fratello) e la guerra contro
nemici dall'esterno (c. 14).
Gen 18
[ 1]Poi il Signore apparve a lui alle Querce di
Mamre, mentre egli sedeva all'ingresso della tenda nell'ora
più calda del giorno. [2]Egli alzò gli occhi e
vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui.
Che fosse il Signore viene detto per noi. Il fatto inizia con Abramo seduto all'ingresso della tenda, nell'ora in cui si riposerebbe volentieri. Egli vide tre uomini. Di per sé non li cercava, ma la prontezza della reazioni ci fa capire che comunque era in attesa e vigilava. Quella visita non è un fastidio e non lo intimorisce; anzi, lo interessa. Infatti...
Appena li vide, corse
loro incontro dall'ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, [3]dicendo:
«Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza
fermarti dal tuo servo. [4] Si vada a prendere un po' di acqua, lavatevi i piedi
e accomodatevi sotto l'albero. [5]Permettete che
vada a prendere un boccone di pane e rinfrancatevi il cuore; dopo, potrete
proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo».
Quelli dissero: «Fa' pure come hai detto».
Poter
ospitare qualcuno è una "grazia". Abramo si presenta come
"servo" e chiama "signore" colui che viene ospitato. D'altra
parte Abramo è il "padrone di casa" e fa gli "onori di
casa"; non è come un funzionario che non fa nulla finché non arriva
qualcuno a dargli indicazioni. Abramo prende l'iniziativa, sa di poter essere
"signore" in casa sua ed è consapevole di avere dei beni di cui
disporre per "servire" gli ospiti. Sa comunque che tocca a lui fare
qualcosa: è dovere suo e non di altri.
[6]Allora Abramo andò
in fretta nella tenda, da Sarà, e disse: «Presto,
tre staia di fìor
di farina, impastala e fanne focacce». [7]All'armento
corse lui stesso. Abramo, prese un vitello tenero
e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. [8]Prese latte acido
e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse a loro.
Abramo
va a chiamare la moglie, mette in azione il servo.
Lui stesso fa la propria parte. Tutta la comunità è coinvolta nell'accoglienza
di cui Abramo si fatto carico. L'ospitalità è parte della cultura dei popoli
nomadi, ma nella premura di Abramo per l'ospite ci sono aspetti nuovi,
sorprendenti, gratuiti.
Così, mentr'egli
stava in piedi presso di loro sotto l'albero, quelli mangiarono. [9]Poi gli
dissero: «Dov'è Sarà, tua moglie?».
Rispose: «E là nella tenda». [10]I1 Signore riprese: «Tornerò da tè
fra un anno a questa data e allora Sarà, tua
moglie, avrà un figlio».
Egli
sta presso di loro mentre mangiano. Adesso, alla fine di tutto, egli resta in
attesa: ascolta. L'attesa di Abramo è compensata; egli riceve una parola di
benedizione: tra un anno sua moglie avrà un figlio. L'ospite non è soltanto
una persona che ha bisogno di attenzioni; è invece portatore di
un messaggio: merita ascolto (Ebrei 13,2: "Non dimenticate l'ospitalità;
alcuni praticandola hanno accolto degli angeli
senza saperlo"; angelo significa: messaggero).
Alla
fine Abramo potrebbe dire:”Ho ricevuto più di quanto ho dato” , così, di
solito, concludono coloro che fanno del bene al prossimo.
II testo
biblico che abbiamo letto ci illustra l'ascolto dentro il contesto di un gesto
più complesso di ospitalità. Lì l'ascolto appare come il punto di arrivo,
l'ultimo atto dell'ospitalità.
DÌ solito
è più facile pensare che l'ascolto sia il primo gesto dell'ospitalità:
iniziamo dall'ascolto per giungere a consigliare e aiutare qualcuno. Ma
l'ascolto può essere anche l'ultimo gesto, il fine stesso dell'ospitalità.
Potremmo, infatti, osservare che se una persona viene al centro di ascolto, è
perché ha già ricevuto il nostro messaggio in cui ci dichiariamo disponibili
ad ascoltarlo. Quando arriva raccogliamo il frutto di tutta la nostra azione:
abbiamo preparato un locale accogliente, ci siamo resi disponibili ad orari
precisi, abbiamo raccolto molte informazioni su tutte le forme di bisogno
possibile e sulle risorse disponibili sul nostro territorio e ora, finalmente,
qualcuno ha ascoltato il nostro invito ed è venuto. Quando viene qualcuno siamo
contenti noi per primi. Poter ascoltare è già un fine.
Ascoltare
è il reciproco di parlare. Nell'ascolto accolgo l'altro, nel parlare mi
consegno. L'ospitalità prevede reciprocità: io ho qualcosa da donare (parlo) e
qualcosa da ricevere (ascolto). Non c'è mai una relazione vera che sia a senso
unico.
Ascolto
perché ho qualcosa di dire
L'ascolto
può essere la premessa per il dono della parola, attraverso la quale dono me
stesso, comunico ciò che sono e ciò che credo. Se ascolto senza scoprire me
stesso, rischio di essere come chi rovista in casa d'altri, ma tiene ben chiusa
la propria casa. Il cristiano ascolta, ma desidera anche aprirsi all'altro, ha
qualcosa da dire e da annunciare:
1Gv 1,1.4
[l]Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi
abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che
le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita [2](poiché la vita si
è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo
la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), [3]quello
che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi
siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio
suo Gesù Cristo. [4]Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia
perfetta.
Una
persona aperta è una persona che ascolta e che parla insieme. Chi non parla
diciamo che è una persona chiusa e non è ospitale. Così ti ascolto per
arrivare a parlarti e dirti le parole nelle quali mi apro a tè
e consegno a tè ciò che sono. Alla fine quando
ho parlato la mia gioia è "perfetta". Chi non ha cose da dire, chi
non ha una fede da annunciare e da condividere con altri,
non ha interesse ad ascoltare.
Parlo
perché voglio ascoltare
Ma
l'ascolto può anche essere il fine in vista del quale la parola crea le
condizioni: parlo perché tu possa capire che ti puoi fidare di me. Mi sono
aperto a tè attraverso la mia parola e mi sono
rivelato, perché tu ti potessi rivelare senza timori e portarmi il tuo
messaggio. Il cristiano sa che ogni persona umana è immagine di Dio e parla di
lui: ogni storia umana ha a che fare con la storia di Gesù e me la spiega. Il
cristiano è pertanto interessato ad ascoltare e fa di tutto (fa persino un
centro di ascolto) per arrivare a questo fine.
L'ascolto è quindi un momento dell'ospitalità che è concetto più comprensivo e un tema teologico particolarmente significativo. Si fa un centro di ascolto come gesto di ospitalità. Non accada che il Signore che visita la sua Chiesa non sia accolto. Leggiamo infatti nei Vangeli.
E’ venuto chiedendo
ospitalità: Non c'era
posto per lui nell'albergo (Le 2,7). Venne fra la
sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto; a quanti però l'hanno accolto ha dato
il potere di diventare figli di Dio (Gv 1,11-12).
Alla fine
della storia egli ci ospiterà nella casa del Padre suo:
Nella casa del Padre mio vi sono molti posti... Vado a preparavi un posto... vi
prenderò con me (Gv 14,2-3). Venite (vi ospito) benedetti del Padre
mio,... (perché voi mi avete ospitato) ho avuto fame e mi avete dato da
mangiare (Mt 25).
Quali sono
i motivi o gli obiettivi dell'ospitalità? Li ricaviamo dal gesto ospitale di
Abramo. Si possono intuire direttamente dal testo letto, ma li possiamo
integrare con altre indicazioni più esplicite che vengono da altri testi
biblici, riletti in una sintesi teologica[1]
Ospitare
è una benedizione
(ne ricevo un bene). Abramo è alla ricerca di cosa il Signore voglia da lui.
E’ pellegrino su quella terra che il Signore gli ha promesso e dove deve
trovare un luogo per una sistemazione. E ogni persona che incontra gli può dare
indicazioni e può aiutarlo a capire cosa gli chieda il Signore in quel luogo.
Ogni persona è una benedizione, rende la terra più ospitale, perché una terra
deserta non è ospitale. Chi si muove in terra deserta, quando vede una persona
fa festa, perché da quella persona può ricevere del bene (insieme a
tribolazioni). Abramo è interessato ad ascoltare.
Ospitare
è un comandamento.
Abramo è chiamato dal Signore perché diventi benedizione per tutte le genti:
"renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione" (Gen 12,2).
Non può quindi trattenere per sé la benedizione. Dio non lo ha preso da parte
per isolarlo, ma per farne sorgente di grazia per tutti. Abramo ha qualcosa da
donare ed è suo dovere farlo.
Ospitare
è una gioia (una
festa, un gesto gratuito). Ad Abramo è stato detto: "Tutto il paese che tu
vedi io lo darò a tè e alla tua discendenza" (Gen 13,14-17). Abramo
celebra la grazia di Dio che gli da ogni cosa. Il gesto che compie non è solo
un servizio; è invece esagerato, è la manifestazione della gioia di poter
dare. Ci prende gusto. Abramo fa festa al suo ospite e con il suo ospite.
Potremmo
dire che per la Chiesa l'ospitalità è una benedizione, un comandamento, una
gioia.
GIOVANNI PAOLO II, Lettera
enciclica Redemptor hominis (1979): n. 13. La Chiesa desidera servire
quest'unico fine: che ogni uomo possa ritrovare Cristo, perché Cristo possa,
con ciascuno, percorrere la strada della vita, con la potenza di quella
verità sull'uomo e sul mondo, contenuta nel mistero dell'Incarnazione e della
Redenzione, con la potenza di quell'amore che da essa irradia.
Possiamo
dire che Cristo è la via che ci conduce incontro ad ogni uomo e che ogni uomo
è la via che ci conduce a Gesù. Perché (partendo dall'alto) Cristo vuoi
raggiungere ogni uomo e, se siamo suoi, siamo spinti a raggiungere tutti;
viceversa (partendo dal basso) se prendiamo sul serio la persona umana, con i
suoi bisogni e i suoi desideri, per soddisfare ogni sua attesa dobbiamo giungere
a condurla a Gesù.
La Chiesa
è come una famiglia che ha al suo inizio un atto di ospitalità: ha accolto in
casa la persona di Gesù. Gesù è in casa della Chiesa: l'abbiamo ospitato,
siamo "quelli che lo hanno accolto" (Gv 1,12 ) e siamo i
"suoi" come lui stesso ci chiama (Gv 14-17); egli dice: "Prendete
e mangiate, questo è il mio corpo" e noi prendiamo il suo corpo e facciamo
comunione con lui. Però lui è di tutti: dobbiamo fare memoria che il suo
sangue è stato versato per noi e "per tutti". Tutti vengono a lui:
"lo, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me", dice Gesù
(Gv 12,32). Siccome però lui è in casa nostra vengono da noi: mentre sono alla
ricerca di Gesù incontrano anche noi. La Chiesa è cercata (o rifiutata) sempre
a causa di Gesù.
A volte
coloro che vengono sembrano travolgerci e noi siamo a disagio perché non
riusciamo a rispondere a tutti e non per tutti i problemi abbiamo soluzioni.
Questo accade quando stiamo pensando che vengano a cercare noi e che quindi
dovremmo essere noi a risolvere i problemi. Così accadde il giorno della
moltiplicazione dei pani, quando i discepoli pensavano che fosse compito loro
dare da mangiare alle folle: finirono per dire a Gesù di mandarle via perché
non avevano soldi a sufficienza per sfamare tutti (Gv 6). Noi dobbiamo mettere a
disposizione quello che abbiamo, sapendo che comunque tutti i nostri beni non
basteranno a saziare tutti: "C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo
e due pesci; ma che cos'è questo per tanta gente?" (Gv 6,9). Quello che è
decisivo è che trovino Gesù: "Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni
parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt 4,4). Il buon ladrone sarà
comunque condannato secondo il mondo, ma è stato salvato perché ha trovato Gesù
(Lc 22,42-43).
GIOVANNI PAOLO II,
Lettera Apostolica Novo millennio ineunte (2001): n.l6. "Vogliamo
vedere Gesù" (Gv 12,21). Questa richiesta, fatta all'apostolo Filippo
da alcuni Greci che si erano recati a Gerusalemme per il pellegrinaggio
pasquale, è riecheggiata spiritualmente anche alle nostre orecchie in questo
anno giubilare. Come i pellegrini di duemila anni fa, gli uomini del nostro
tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti di oggi non solo
di "parlare" di Cristo, ma in certo senso di farlo loro
"vedere". E non è forse questo il compito della Chiesa riflettere
la luce di Cristo in ogni epoca della storia, fame risplendere il volto anche
davanti alle generazioni del nuovo millennio?
Il mondo
pensa che coloro che sono nel bisogno cerchino il pane: in verità cercano Gesù,
cercano la verità sulla loro vita. Vogliono che il nostro gesto di accoglienza
dica che, sebbene essi siano poveri secondo il mondo, non sono, però,
condannati da Dio. Gv 4: la Samaritana non cerca solo acqua. Va al pozzo a
prendere l'acqua di tutti i giorni, ma alla fine si vede che aveva sete di vita
eterna. Noi stessi ne facciamo l'esperienza quando chi viene al centro di
ascolto racconta la sua storia (dice come mai è in quella situazione). Alla
fine la nostra accoglienza non è solo un servizio pratico; essa diventa un
giudizio su quella storia. Rispetto a chi viene, nel gesto di ascolto, noi siamo
chiamati a guardare quella persona come la guarda Gesù; cosa vuole Gesù che io
faccia in questo momento? Cosi manifestiamo il giudizio di Gesù su quella
esperienza. E la pazienza, che ci viene chiesta per accogliere quella persona,
ci fa capire quello che ha dovuto patire Gesù per farsi uomo ed amare l'umanità
di quella persona e delle persone con cui essa è in relazione.
Per noi
è una benedizione accogliere (è un bene, un guadagno). Noi siamo sempre alla ricerca per
capire chi sia davvero colui che abbiamo in casa. Ognuno di quelli che vengono a
cercare Gesù ci aiuta a capire davvero chi egli sia. Ascoltando coloro che
vengono a cercare Gesù ci accorgiamo delle dimensioni del mistero di Gesù. I
genitori di Piergiorgio Frassati hanno capito chi era davvero loro figlio,
quando, nel periodo della sua malattia, si sono visti arrivare in casa tutti i
poveri che Giorgio aveva conosciuto e che venivano a visitarlo. Mentre
accogliamo quelli che vengono da Gesù capiamo chi è Gesù e chi siamo noi.
L'incontro con chi ospitiamo è una benedizione di Dio Padre: ci manifesta la
nostra identità in relazione all'identità di Gesù.
Per noi
è un comandamento accogliere (è legge). Gesù ha chiamato a sé i Dodici perché vide le
folle che erano come pecore senza pastore (Mt 9,35-10,5); volle che i suoi
fossero pescatori di uomini; che annunciassero il vangelo fino agli estremi
confini della terra. Ha messo nelle mani della Chiesa il potere di sciogliere e
di legare. Ha affidato alla Chiesa la sua parola e i suoi sacramenti. Non
possiamo sequestrarli per noi: "Andate, ammaestrate tutte le nazioni,
battezzandole..."(Mt 28,19). La parola di Dio e i sacramenti sono fatti per
essere consegnati a tutti, ai poveri, innanzituto: "Dobbiamo per questo
fare in modo che i poveri si sentano, in ogni comunità cristiana, come «a casa
loro»". (NMI 50). L'ospitalità è obbedienza al comando di Gesù. E
noi siamo contenti di poter obbedire al comandamento di Gesù.
Per noi
è una gioia accogliere (è una festa). Stando in casa con Gesù il suo Spirito ci contagia, ci
prende, ci avvince e alla fine ragioniamo come lui, abbiamo i suoi stessi
sentimenti (Fil 2,5). Anni e anni di frequenza alla Messa e di preghiera, un po'
alla volta hanno plasmato il nostro spirito e, nonostante la nostra durezza di
mente e di cuore, abbiamo imparato a muoverci come Gesù, a godere della sua
stessa libertà: "c'è più gioia nel dare che nel ricevere" (Atti
20,35). L'obbedienza è frutto dello Spirito Santo che ci rende entusiasti,
estroversi come Gesù.
il
centro di ascolto della caritas
L'ospitalità verso
tutti e la preferenza per i poveri
Tutta la
Chiesa ascolta e ascolta in tutto ciò che fa. Perché l'ascolto è un momento
dell'ospitalità che definisce il bene, il comandamento e la gioia della Chiesa.
Il centro di ascolto della Caritas cerca di creare le condizioni per l'ospitalità
verso i più poveri.E' vero che siamo tutti poveri, perché tutti abbiamo le
nostre pene da portare, ma ci sono alcuni che si possono dire poveri in modo
specifico; il vangelo li elenca (Mt 25): affamati, assetati, ignudi, forestieri,
malati, carcerati. Se ricordate, questo è l'elenco delle opere di misericordia
corporale; in aggiunta c'è di seppellire i morti.[2]
Il
cristiano privilegia i poveri, li accoglie e li serve: la Chiesa, attraverso la
Caritas, istituisce per i poveri un Centro di ascolto. Con quale atteggiamento e
con quale stile li accolgo io, operatore del Centro di ascolto?
E' una
benedizione per me.
Essi, infatti, vivono la stessa condizione di Gesù il quale fu affamato,
assetato, ...carcerato e ucciso; quindi attraverso di essi conosco meglio Gesù.
Li servo quindi come uno che è onorato di poterli servire. I poveri sono i miei
signori.
• Non mi limito ad aspettare che arrivino, ma creo le
condizioni favorevoli, perché scelgano di venire da me e vado anche a cercarli
e cerco di guadagnarmi una stima personale, perché sul mio territorio altre
persone, che incontrano dei poveri, li conducano volentieri a me.
E' un
comandamento, perché
Gesù stesso ha voluto così e ha detto di privilegiarli: quindi servo come uno
che "ha da renderne conto" (Ebrei 13,17). Qui sono da richiamare le
parabole sul comportamento che devono avere i servi che aspettano il loro
signore che torna dalle nozze (Lc 12,35-48).
• Non li uso per farmi strada, ma li incontro sapendo che
siamo sotto lo sguardo geloso del Signore. Noi i poveri li serviamo e li
restituiamo al Signore e alle altre relazioni che il Signore stesso ha
predisposto per loro. Non spadroneggiamo su di essi e non chiediamo di essere
chiamati "benefattori" come fanno i grandi di questa terra (Lc 22,25).
E' una
gioia perché la
familiarità con lo spirito di Gesù ci rende simili a lui e ci fa rinnovare le
sue stesse preferenze: quindi lascio spazio alla mia esuberanza, a costo di
sembrare esagerato.
•
Mi lascio prendere dalla gioia di questa accoglienza, ci prendo gusto. Lo si
vede perché ho voglia di rischiare, di tentare qualche esperimento nuovo,
pagando anche di persona. Rischiare è inevitabile: meglio rischiare facendo
troppo, che facendo troppo poco.
il
centro di ascolto e la caritas
Perché verso
i poveri ci sia ospitalità vera
Come
Abramo che coinvolge moglie e servo, così chi fa parte della comunità e
accoglie qualcuno coinvolge (a volte solo indirettamente e magari
inconsapevolmente) tutta la comunità di cui fa parte. Per la Caritas, questo
dell'animazione e del coinvolgimento della comunità, è, però, l'obiettivo
diretto e consapevolmente voluto. Il compito della Caritas è più ampio di
quello del centro di ascolto. Perché l'ospitalità sia vera, il centro di
ascolto deve essere collegato con altre attenzioni che attivano tutte le
dimensioni dell'ospitalità.
Non mi
basta aver dato al povero tutto quanto chiedeva, devo farlo entrare in casa:
devo farlo sentire a casa sua nella Chiesa di Gesù, secondo la misura di
ciascuno. La comunità cristiana non può delegare un'associazione (nemmeno
un'associazione ecclesiale) perché gestisca i poveri. I poveri sono affare di
tutti: è un dovere e un diritto di tutti ospitarli. Nemmeno le associazioni
caritative, nemmeno quelli del centro di ascolto, li devono sequestrare: tutti
hanno il dovere di servirli e il diritto di poterli servire; va valorizzato il
contributo di tutti e vanno rispettati i diritti di tutti.
La
"prevalente finalità pedagogica", scritta nello statuto della Caritas,
è il compito di animazione della comunità tutta, perché essa medesima possa
aprirsi, per ospitare il povero che ha un messaggio da portare, e sia attiva nel
consegnare il messaggio di Gesù ai poveri. La Caritas opera perché si rispetti
il dovere e il diritto della comunità tutta di ospitare i poveri; il centro di
ascolto deve collocarsi dentro questa attività più ampia.
LA
CARITAS E L'ANIMAZIONE DELLA COMUNITA'
... a partire dal centro
di ascolto
II
cristiano rispetto alla comunità non è un funzionario che dipende sempre da
altri; egli ha competenze e capacità di iniziativa in proprio. E' padrone e
responsabile di se stesso. Se da una parte non deve aspettare la spinta degli
altri, dall'altra egli scopre che gli altri non sono un fastidio: tutti sono una
risorsa. Chi è davvero interessato ad ospitare i poveri, sa di non dover
dipendere da nessuno e di dovere rendere utili tutti. Tutte le altre persone e
le altre istituzioni ecclesiastiche o civili possono offrire le loro competenze,
per mettere a proprio agio l'ospite che mi sta a cuore. La Caritas opera perché
questo accada.
Infine chi
ha davvero a cuore l'ospitalità verso i poveri trova sempre terreno dove
operare, come nel caso di Abramo che aveva problemi col fratello Lot che gli
invidiava la terra:
Gen 13,8-9.
[8]Abram disse a Lot: «Non vi sia discordia tra me e tè, tra i miei mandriani
e i tuoi, perché noi siamo fratelli. [9]Non sta forse davanti a tè tutto il
paese? Separati da me. Se tu vai a sinistra, io andrò a destra; se tu vai a
destra, io andrò a sinistra».
La carità
ha sempre nuove terre da esplorare e non si perde in contese meschine. Il
cristiano, però, può abbandonare qualche iniziativa di attenzione ai poveri,
ma non abbandona mai ad altri il povero. I poveri sono la nostra eredità: Gesù
ce li ha consegnati; finché ci saranno dei poveri faremo di tutto perché siano
sempre con noi, come fece il giusto Nabot che non volle cedere ad altri l'eredità
dei padri.
1Re 21,1-3.
Nabot di Izreèl possedeva una vigna vicino al palazzo di Acab rè di Samaria.
[2] Acab disse a Nabot: «Cedimi la tua vigna; siccome è vicina alla mia casa,
ne farei un orto. In cambio ti darò una vigna migliore oppure, se preferisci, tè
la pagherò in denaro al prezzo che vale». [3] Nabot rispose ad Acab: «Mi
guardi il Signore dal cederti l'eredità dei miei padri».
Tanto più
che ci sono sempre poveri che nessuno vuole. La Caritas e il Centro di ascolto
della Caritas, se non vengono loro, li devono andare a cercare. Se non vogliono
stare con noi saremo noi che staremo con loro; staremo sulla porta della loro
casa in attesa che ci trovino degni di essere accolti.
[1] Cf aI riguardo C.M. martini, Lo straniero nella Scrittura, II Regno documenti, 3/2001
[2] Trascriviamo
da Cantemus Domino l'elenco delle opere di misericordia corporale:
dar da mangiare agli affamati; dar da bere agli assetati; vestire gli
ignudi; alloggiare i pellegrini; assistere gli infermi; visitare i
carcerati; seppellire i morti. Questo è invece l'elenco delle opere di
misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi (rispetto alla fede);
insegnare agli ignoranti; ammonire i peccatori; consolare gli afflitti,
perdonare le offese; sopportare pazientemente le persone moleste, pregare
Dio per i vivi e per i morti.